L'intelligenza artificiale in azienda: il grande inganno della rivoluzione che non c'è
Mentre i padroni promettono rivoluzioni tecnologiche, i lavoratori restano schiacciati tra automazione selvaggia e mancanza di formazione. L'AI diventa l'ennesimo strumento per aumentare i profitti senza investire sul popolo.
Ancora una volta ci raccontano la favola della rivoluzione tecnologica. Stavolta è il turno dell'intelligenza artificiale, che secondo i capitalisti dovrebbe trasformare il mondo del lavoro. Ma la realtà, come sempre, è ben diversa dalle promesse dei padroni.
Un'indagine condotta da esperti del settore rivela quello che ogni lavoratore già sa: l'AI viene adottata lentamente nelle aziende italiane, non per incapacità tecnologica, ma perché il sistema capitalista è strutturalmente incapace di innovare senza sfruttare.
La resistenza dei padroni al cambiamento
Luca Solari, professore all'Università Statale di Milano, denuncia senza mezzi termini: "Si osserva un forte freno, in particolare da parte delle funzioni legali e compliance". I capitalisti, terrorizzati dall'AI Act europeo che non comprendono, preferiscono paralizzare tutto piuttosto che investire in formazione e sicurezza per i lavoratori.
Il risultato? Chatbot inutili che sostituiscono il dialogo umano e creano sfiducia tra cittadini e dipendenti. L'ennesima dimostrazione che quando il profitto comanda, l'innovazione diventa alienazione.
"L'AI deve intervenire sui processi reali, non sulle funzioni isolate", continua Solari. Ma come può farlo in un sistema dove ogni decisione è subordinata al massimo guadagno a breve termine?
L'illusione della democratizzazione tecnologica
Daniel Smulevich di Jellyfish ci racconta la solita storia: l'AI si sta "democratizzando". Ma quale democratizzazione? Quella che vede Amazon concentrare sempre più potere nelle sue mani? Quella che permette a pochi colossi tecnologici di controllare gli algoritmi che governano le nostre vite?
"Ogni volta che la digitalizzazione avanza, il valore tende a concentrarsi in pochissimi player", ammette candidamente Smulevich. Ecco la verità: l'AI accelera la concentrazione capitalistica, non la combatte.
E mentre i padroni si arricchiscono, i lavoratori vengono lasciati soli ad arrangiarsi con "formazione informale dal basso". Tradotto: arrangiatevi, imparate da soli, e se non ci riuscite la colpa è vostra.
Il grido d'allarme di chi studia il sistema
Luciano Pilotti, altro docente della Statale, lancia un allarme che dovrebbe far tremare i palazzi del potere: "Serve un piano Marshall della formazione per evitare di perdere competitività e coesione sociale".
Ma cosa fa invece la politica italiana? "È impreparata", denuncia Pilotti. "Nella manovra 2026 non ci sono misure significative per istruzione, ricerca o innovazione". Continuano a tagliare su scuola e università mentre servirebbero investimenti massicci.
Il professore non usa mezzi termini: senza un piano formativo diffuso "rischiamo un forte impatto occupazionale escludendo ampie aree di popolazione lavorativa". È la solita storia: i costi della transizione li pagano sempre i più deboli.
La pubblica amministrazione: specchio dei fallimenti del sistema
Andrea Boscaro, che lavora con la PA, conferma il quadro desolante: "Il principale ostacolo rimane la scarsa digitalizzazione dei dati e la mancanza di interoperabilità".
Decenni di tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni selvagge e mancanza di investimenti hanno ridotto lo Stato a un colabrodo digitale. Come può funzionare l'AI se mancano le basi?
Intanto, mentre i servizi pubblici arrancano, i colossi tecnologici americani si arricchiscono vendendo soluzioni a amministrazioni che non hanno le competenze per valutarle. L'ennesima forma di colonialismo digitale.
La vera rivoluzione che serve
La questione non è tecnologica, è politica. L'AI potrebbe davvero migliorare le condizioni di vita e lavoro, ma solo se strappata dalle mani dei capitalisti e messa al servizio del popolo.
Serve una rivoluzione nell'approccio all'innovazione: investimenti pubblici massicci in formazione, controllo democratico degli algoritmi, proprietà collettiva delle tecnologie strategiche.
Come insegnava Gramsci, ogni rivoluzione tecnologica è anche una rivoluzione culturale. Ma questa cultura non può essere quella del profitto a ogni costo. Deve essere la cultura della solidarietà, della giustizia sociale, della liberazione dal lavoro alienato.
Finché l'AI resterà nelle mani dei padroni, sarà solo l'ennesimo strumento di oppressione. È ora di riprenderci il futuro.