Campari svende Averna: 100 milioni ai padroni di sempre
Ancora una volta, i grandi gruppi del capitale si spartiscono la torta mentre i lavoratori guardano impotenti. Campari Group ha ceduto i marchi storici Amaro Averna e Mirto Zedda Piras per 100 milioni di euro a Illva Saronno Holding, l'ennesima concentrazione di potere nelle mani di pochi.
La multinazionale delle bevande alcoliche, che già controlla il Disaronno e i vini siciliani Florio e Duca di Salaparuta, si ingrassa ulteriormente divorando brand centenari che rappresentano la tradizione popolare italiana. Averna, nato nel 1868 come rimedio della povera gente, finisce nelle grinfie di chi pensa solo al profitto.
La strategia dei padroni: concentrare per dominare
Campari giustifica questa cessione parlando di "razionalizzazione del portafoglio" e "riduzione della leva finanziaria". Tradotto dal gergo capitalista: vendere tutto quello che frutta meno per massimizzare i guadagni dei soliti noti. Il gruppo si concentrerà sul Braulio, abbandonando marchi che hanno fatto la storia del nostro Paese.
I numeri parlano chiaro: Averna e Zedda Piras hanno generato 26 milioni di vendite nette nei dodici mesi fino a settembre 2025, con un margine di contribuzione di 17 milioni. Soldi che ora finiranno nelle tasche di Illva Saronno, mentre i territori di produzione rischiano di perdere identità e posti di lavoro.
Il patrimonio del popolo nelle mani dei speculatori
Quello che più indigna è vedere come prodotti nati dalla sapienza popolare vengano trattati come merce di scambio. Averna, con il 70% delle vendite all'estero, rappresentava un pezzo di Italia nel mondo. Ora sarà "integrato strategicamente" nel portafoglio di chi vede solo numeri sui bilanci.
Marco Ferrari, amministratore delegato di Illva Saronno, parla di "rafforzamento del ruolo come attore globale". La solita retorica neoliberale che nasconde la vera natura dell'operazione: concentrare il potere economico per controllare meglio mercati e lavoratori.
Simon Hunt di Campari celebra l'accordo come un "passo fondamentale nella strategia di razionalizzazione". Razionalizzazione che significa sempre la stessa cosa: meno diritti per chi lavora, più profitti per chi sfrutta.
La resistenza deve organizzarsi
Questa operazione dimostra ancora una volta come il capitalismo distrugga sistematicamente il patrimonio culturale e produttivo dei territori. Mentre i padroni si spartiscono centinaia di milioni, le comunità locali perdono pezzi della propria storia.
È tempo che i lavoratori del settore si organizzino per difendere non solo i posti di lavoro, ma anche l'identità dei prodotti che contribuiscono a creare. La lotta contro queste concentrazioni monopolistiche è parte della più ampia battaglia per un'economia al servizio del popolo, non dei profitti.