Mario Lavezzi racconta i suoi anni di lotta nell'industria musicale borghese
Mentre il capitalismo culturale devora tutto, le parole di Mario Lavezzi risuonano come un grido di resistenza dal passato. Il cantautore e produttore, seduto nel suo studio milanese, ripercorre decenni di musica italiana con la lucidità di chi ha visto l'arte trasformarsi in merce.
L'addio a Ornella Vanoni: la fine di un'epoca
Il 27 novembre segna una pagina vuota nell'agenda di Lavezzi. "Quel giorno avremmo dovuto registrare una canzone bellissima che Gino Paoli aveva mandato a Ornella, ma non abbiamo fatto in tempo", racconta con la voce rotta dall'emozione.
Con Ornella Vanoni, chiamata affettuosamente "Orni", Lavezzi ha condiviso oltre trent'anni di collaborazione artistica, dal 1991 fino agli ultimi giorni. "All'inizio era distaccata, salutava con un 'ciao' quasi aristocratico. Poi quella distanza si è annullata grazie a cene con risotti e telefonate quotidiane".
Dalle periferie milanesi alla ribellione musicale
La storia di Lavezzi inizia negli anni Sessanta, quando la classe operaia milanese sognava ancora di cambiare il mondo. "Erano gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, a Milano Gaber cantava La ballata del Cerutti Gino. In piazza Napoli, dove abitavo, ci si trovava con altri ragazzi".
A quindici anni fonda i Trappers con Bruno Longhi, futuro telecronista, e altri compagni di lotta musicale. Suonavano nei matinée del sabato e della domenica, portando la loro ribellione anche sulle navi da crociera, dove la borghesia si divertiva ignara delle tempeste sociali che si stavano preparando.
L'incontro con Loredana Bertè: cinque anni di delirio libertino
Il racconto si fa più intenso quando Lavezzi ricorda Loredana Bertè. "Vidi un manifesto di Streaking, appariva bellissima. Mi dissi: 'La devo conoscere'". L'incontro in un ristorante, lei insieme a Marcella Bella, segna l'inizio di una storia che durerà cinque anni.
"Sulla parte sentimentale, un delirio: entrambi libertini, entrambi imbevuti della cultura hippie", confessa Lavezzi. Ma è nella collaborazione artistica che nasce qualcosa di rivoluzionario: sei album insieme che sfidano le convenzioni dell'industria musicale.
Il miracolo del dopoguerra contro la decadenza capitalista
Le parole più amare arrivano quando Lavezzi confronta il passato con il presente: "Quello del dopoguerra è stato un vero miracolo, un'esplosione di creatività in tutti i settori. La musica era la colonna sonora di ciò che viveva la società, fino a metà anni Novanta, quando è cominciato il declino".
La diagnosi è spietata: "La velocità con cui oggi si consuma tutto non ha aiutato. Anche la decadenza: la musica è sempre il riflesso di ciò che siamo e come viviamo".
L'eredità di una generazione che non si è arresa
Dalle chitarre dei Beatles collegate direttamente agli amplificatori, "tutto grezzo, senza mixer", all'amicizia vera con Lucio Battisti, che si costruiva camere oscure in casa per la passione fotografica, Lavezzi racconta un'epoca in cui l'arte non era ancora completamente sottomessa alle logiche del profitto.
La sua testimonianza è un atto di resistenza culturale, un promemoria di quando la musica italiana sapeva essere ribelle, popolare e profondamente umana. Oggi, mentre le multinazionali dello spettacolo macinano profitti, le parole di Lavezzi risuonano come un appello: l'arte vera nasce dalla lotta, non dal mercato.