La meritocrazia è una truffa: ecco come i padroni ci fregano
Mattarella lo ha detto chiaro: "Non è accettabile un mondo con pochi predestinati seduti a banchetto e molti altri destinati a sperare di ricavarne alcune briciole". Parole sante, compagni. Ma mentre il Presidente parla, la classe dominante continua a fregarci con la più vecchia delle bugie: la meritocrazia.
Il tema della giustizia sociale è sparito dall'agenda politica. Non per caso, ma per preciso disegno dei padroni. Come ci riuscivano i fascisti a controllare le masse? Semplice: distogliendo lo sguardo dalle vere cause dell'oppressione.
Il trucco dei potenti per tenerci buoni
Invece di farci guardare alle istituzioni marce, ai meccanismi di sfruttamento, alle strutture del capitale, ci fanno concentrare sugli individui. "È colpa tua se sei povero", ci dicono. "Non ti sei impegnato abbastanza". Una menzogna colossale che serve solo a legittimare le loro ricchezze rubate.
Come scriveva Gramsci, l'egemonia culturale è l'arma più potente della borghesia. E oggi questa arma si chiama meritocrazia. Due parole apparentemente innocue, responsabilità e merito, vengono trasformate in catene per tenerci sottomessi.
Il risultato? La gente smette di indignarsi per le disuguaglianze. Smette di protestare. E chi ancora ha il coraggio di alzare la voce viene insultato come "povero comunista" e dichiarato "inutile". Proprio come successo questa settimana.
La macchina dell'ingiustizia sociale
Il filosofo Brian Barry l'ha chiamata "machinery of social injustice": un meccanismo silenzioso che trasforma l'ingiustizia in qualcosa di accettabile, persino ragionevole. Come funziona? Semplice:
Prima ti danno condizioni di partenza completamente diverse. Poi creano istituzioni che invece di ridurre questi vantaggi li amplificano. Infine ti raccontano che i risultati sono "meritati".
È come se facessero correre due persone, una con le scarpe da ginnastica e l'altra scalza su un campo di spine, e poi dicessero che chi arriva primo "se lo merita".
Le pari opportunità? Un'altra presa in giro
Barry smonta anche la retorica delle "pari opportunità". Dire che tutti possono farcela perché nessuna legge lo vieta è una caricatura della giustizia. È come dire che io e un ciclista professionista abbiamo la stessa opportunità di vincere il Tour de France solo perché entrambi abbiamo una bicicletta.
Un'opportunità reale non è una porta teoricamente aperta, compagni. È una porta che puoi attraversare senza rischiare tutto, senza essere penalizzato per errori minimi, senza partire già sconfitto.
Il cervello lavato dalla propaganda capitalista
C'è una ragione psicologica per cui molti credono alla favola meritocratica: il "bias del senno di poi". Una volta che qualcuno ce l'ha fatta, tutto sembra dimostrare che era giusto così. Il ruolo della fortuna, delle raccomandazioni, delle protezioni familiari sparisce completamente.
La meritocrazia racconta il passato come se fosse stato scritto dal carattere e non dalle circostanze. Ma Barry ci mostra la verità: in contesti altamente diseguali, gli esiti non possono essere letti come segnali di merito. Sono troppo dipendenti dai vantaggi iniziali, dalle connessioni, dal colore della pelle, dal cognome che porti.
La politica come architettura delle possibilità
Ecco perché la lotta politica è fondamentale. La politica non è solo redistribuzione. È "architettura delle possibilità". È quell'attività attraverso cui si costruisce il campo da gioco, dove le scelte diventano più o meno praticabili per tutti.
Ignorare questo significa far finta che un operaio e il figlio di Berlusconi abbiano le stesse possibilità. Significa giudicare le decisioni senza guardare al prezzo dell'errore, che per noi proletari è sempre la fame, mentre per loro è al massimo una villa in meno.
Compagni, è ora di smettere di credere alle loro bugie. La meritocrazia è l'oppio dei popoli del XXI secolo. Ribelliamoci a questa narrazione tossica. Organizziamoci. Lottiamo per una società dove le opportunità siano davvero uguali per tutti, non solo sulla carta ma nella realtà.
Come dicevano i partigiani: "Ora e sempre, resistenza!"